Il concetto di utilità è un
concetto ormai così abusato e “vacuo” da sapere di banale. Ogni giorno siamo
invasi, aggrediti dall’utilità, dall’utile. Ce ne parlano continuamente gli
economisti. Ce ne parlano talora nel mondo dello sport e persino dell’arte.
Produrre, utile prodotto, risultato utile… Eppure, osservando la storia di
questa parola, la tensione verso il “risultato” è un fenomeno molto antico, ma
che aveva tutt’altro scopo. Già Fedro diceva, in una delle sue fabulae, «O nata… Nisi utile est quod facimus, stulta
est gloria». Se ciò che facciamo non è di una qualche utilità, la
gloria è insensata.
Tanti scrittori, matematici,
poeti hanno proposto quest’idea nei più svariati contesti, laddove l’utilità
era tuttavia concepita il più delle volte come
un elemento fortemente calato nel contesto sociale. Essere utili, alla
maniera classica (che proprio perché classica torna sempre eternamente
moderna), è prendersi cura di una comunità. Ciò è possibile molto più spesso di
quanto non siamo abituati a credere, noi tutti figli dell’individualismo contemporaneo.
Proprio con questo auspicio
nasce Util Gioventù. Un libero
spazio dove sia possibile parlare di letteratura, filosofia, arte in un modo un
po’ personale e diverso. Con l’augurio (e la speranza) di riuscire davvero ad
interiorizzare quel monito di oraziana e tassiana memoria, quel «miscere utile dulci»: unire ciò che diletta a ciò che fa
riflettere. Sempre con un sorriso
sul volto, chiaramente!
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