martedì 2 aprile 2013

Prima tappa: il sonetto


Ogni viaggio che si rispetti merita una meta. Ogni meta, a meno che non si voglia correre nelle vicinanze, abbisogna di una o più tappe.

Si poteva partire da qualsiasi angolo di questo mondo poetico; magari commentando subito un autore contemporaneo che non usa versi strutturati, rime, strofe, ritmo...

Abbiamo invece scelto di partire dal sonetto, la ben nota struttura poetica che nasce nella Sicilia del Medioevo e che ha avuto un successo enorme fino addirittura ai giorni nostri. Successo dovuto sicuramente alla (apparente) semplicità nonché snellezza, essendo sinonimo da sempre di concisione e lucidità.

La poesia è essenzialmente legata al ritmo anche se, sopiti come siamo nella regola dell'assenza di regole, abbiamo dimenticato quale sia il suo suono, il modo in cui essa si manifesta. Eppure ciò era vero fin dalle origini ancestrali in cui pure ci perderemmo se cercassimo un anno zero di questa forma d'arte.


Non sarà un percorso cronologico, naturalmente. Sarebbe troppo facile e allo stesso tempo difficile, per chi non insegna letteratura italiana.

Sarà la ricerca di un determinato modo di formare il sonetto, attraverso alcuni autori amati e altri sicuramente poco conosciuti, per quanto possibile da leggere in lingua originale - con traduzione -.

Non resta che anticipare quale sarà il primo autore nel quale ci imbatteremo... Francisco de Quevedo.


In molti dicono che il Barocco sia un periodo melenso, eccessivamente rifinito, intimamente decadente.
È giunto il tempo di smentire questa leggenda.


lunedì 25 marzo 2013

Un mondo perduto

Immaginate una stanza trascurata, possibilmente umida e poco illuminata. Una cantina, insomma.

In essa collocate uno scaffale, anch'esso abbastanza maltrattato, vecchio, con le ante malconce.

Al suo interno ponete una vecchia lampada a petrolio in disuso, cimelio del passato; di un passato che spesso torna, nelle epoche più cupe, anche esse in fondo espressione dell'animo umano.


È così che immagino la poesia.


In un mondo che ha mercificato ogni cosa abbiamo dimenticato quanto la poesia, espressione artistica tra le più antiche, possa illuminarci; farci compagnia nei giorni cupi, così come nei momenti di allegria.

Poche forme d'arte hanno l'abilità di metterci in contatto con il cuore di altre persone con tanta forza semantica. Certo, musica e pittura non sono da meno nel risvegliare le pulsioni più ancestrali che muovono il nostro animo. Ciò malgrado, la poesia conserva, secondo me, un'abilità peculiare nel costruire ponti tra le generazioni. Se è vero dunque che ogni artista è figlio del suo tempo, vero è anche, tuttavia, che la forza evocativa della lirica è talora così distintiva di un autore piuttosto che un altro da renderla una creatura profondamente indipendente, incredibilmente vivace.


Ogni mese, perciò, proveremo a parlare di poesia, sia essa in lingua italiana, straniera, in lingua dialettale. Senza presunzioni di onniscienza ben lungi dalle nostre possibilità, ma con lo spirito proprio di chi della poesia è innamorato per il modo col quale essa plasma il nostro modo di vedere le cose, la nostra dimensione umana.


Amare la poesia è un po’ come amare la vita. Amare la vita, quando della vita si prova a capire il senso … è inevitabile.

mercoledì 13 febbraio 2013

Esseri utili… alla Comunità

Il concetto di utilità è un concetto ormai così abusato e “vacuo” da sapere di banale. Ogni giorno siamo invasi, aggrediti dall’utilità, dall’utile. Ce ne parlano continuamente gli economisti. Ce ne parlano talora nel mondo dello sport e persino dell’arte. Produrre, utile prodotto, risultato utile… Eppure, osservando la storia di questa parola, la tensione verso il “risultato” è un fenomeno molto antico, ma che aveva tutt’altro scopo. Già Fedro diceva, in una delle sue fabulae, «O nata… Nisi utile est quod facimus, stulta est gloria». Se ciò che facciamo non è di una qualche utilità, la gloria è insensata.


Tanti scrittori, matematici, poeti hanno proposto quest’idea nei più svariati contesti, laddove l’utilità era tuttavia concepita il più delle volte come un elemento fortemente calato nel contesto sociale. Essere utili, alla maniera classica (che proprio perché classica torna sempre eternamente moderna), è prendersi cura di una comunità. Ciò è possibile molto più spesso di quanto non siamo abituati a credere, noi tutti figli dell’individualismo contemporaneo. 

Proprio con questo auspicio nasce Util Gioventù. Un libero spazio dove sia possibile parlare di letteratura, filosofia, arte in un modo un po’ personale e diverso. Con l’augurio (e la speranza) di riuscire davvero ad interiorizzare quel monito di oraziana e tassiana memoria, quel «miscere utile dulci»: unire ciò che diletta a ciò che fa riflettere. Sempre con un sorriso sul volto, chiaramente!